Maledetti film. Maledetti libri. E maledetti i loro protagonisti – di solito poco più che ventenni – che partono, viaggiano, scoprono, capiscono, crescono e migliorano. E maledetto io. Che – poco più che ventenne – mi sono visto e letto quelle storie con quei personaggi intriganti, complessi e tormentati, mossi da intricati e affascinanti dilemmi. A quelle storie, a quell’età, ci credi. Il problema è che se vent’anni li hai in Brianza nei ruggenti anni ’10 del secolo ventunesimo, il raggio di scelte a tua disposizione è inesorabilmente ridotto. Per citare Maracaibo di Lu Colombo (i riferimenti culturali sono come gli amici, ognuno ha quelli che si merita): fuggire. Sì. Ma dove?
Il viaggio, nel nuovo secolo, tocca farlo in Australia. Che è lontana, che non fa freddo. Che tutti c’abbiamo l’Amico che su Instagram a Natale posta la foto fatta in spiaggia col costume e il cappellino rosso in testa, e poi la foto con la tavola da surf, e quella col canguro, e poi una con gli amici dell’Ostello da tutto il mondo.
L’Australia, mi ha permesso – con un repentino cambio di verbi ausiliari – di passare dall’avere quell’Amico, all’essere quell’Amico. Così, tornato dall’Australia, ho ben pensato illuminarvi, miei cari lettori, su quello che ho scoperto e capito nell’isola nota per aver ospitato le avventure di Bianca e Bernie.
C’È LAVORO PER TUTTI
Premessa noiosa: per andare in Australia (se non sei un turista, se non hai una moglie australiana, e se già non hai là un lavoro a tempo indeterminato) ci vai con una Working Holiday Visa. È un visto speciale: dura un anno (rinnovabile per un secondo anno), lo puoi fare se hai tra i 18 e i 30 anni, è soggetto ad alcune – ma non troppe – limitazioni, costa 300equalcosa Euro. Lo fai in un’oretta, online, rispondendo a domande che per quantità e qualità al confronto l’ESTA è veloce come una firma digitale fatta al corriere che ti consegna un pacco di Amazon. Ma tant’è. C’hai messo un pomeriggio, ti sei fatto la Visa, hai preso il biglietto e sei in Australia. Ti compri una SIM, apri un conto in banca, ottieni un TFN (codice fiscale): roba di tre giorni. E poi puoi cercare lavoro. E sì, lo trovi. In fretta. Davvero. Nelle città come cameriere, barista, quelle cose lì. Oppure prendi e vai nelle Farm, nell’interno dell’Australia (quel 98% del territorio in cui vive il 2% della popolazione) e fondamentalmente raccogli frutti (cosa che, se vuoi guadagnarti un secondo anno di visto, dovrai fare per almeno 3 mesi). Esistono poi infinite e molteplici possibilità per lavori, lavoretti e lavoracci alternativi. Receptionist, istruttore di sub se lo sai fare, tuttofare da villaggio turistico, lavamacchine, giardiniere, babysitter, trasfocatore. Ci sono anche delle rarità: ho conosciuto minatori, pescatori di perle, allevatori di canguri o coccodrilli.
LA BELLA VITA
Che te lo dico a fare. È vero. Da questo punto di vista l’Australia è esattamente ciò che si dice dell’Australia. Le città sono dinamiche, pulite e stimolanti. Gli ostelli sono, nella maggior parte dei casi, un piacevolissimo tripudio d’interculturalità e giovani uomini e giovani donne in esplosione d’ormoni e socialità. E poi c’è tutto il resto: la barriera corallina più grande del mondo, Uluru, le spiagge bianche, le acque cristalline. Tutte quelle cose lì insomma. È anche vero che, però, ad esempio, non troverete molte folli feste sulla spiaggia. Per quelle, credo, meglio la Tailandia. L’Australia, a parte qualche sparuta enclave goliardica e libertina è uno stato ordinato. Uno stato in cui nemmeno ti lasciano bere una birra per strada. Ma gli australiani sono – nella stragrande maggioranza dei casi – gentili, ironici, e assurdamente disponibili. E i backpackers viaggiano. Come scritto, i soldi li si riesce a guadagnare. E se l’idea è quella di spenderne la maggior parte viaggiando l’Australia è decisamente il posto giusto. Se invece di soldi ne avete pochi, o se il desiderio è spenderne ben più di quelli in vostro possesso, pensate un po’, ho pure il piano B. Potete provare ad emulare Abdelkarim Sehrani, un backpacker francese che, probabilmente affascinato da Prova a Prendermi, è andato a Hamilton Island – un’isola alquanto al largo della costa orientale dell’Australia – e, una volta lì, ha vissuto per due settimane da nababbo tra champagne e elicotteri. Poi, a una certa, ha preso e se n’è andato, lasciando un debito di 20.000 e passa dollari. L’epilogo della storia: dopo qualche tempo, l’ente del turismo di Hamilton Island ha chiesto a Sehrani di diventarne ambasciatore e testimone di quell’isola. E via così: amici come prima. Gente bizzarra questi australiani.
GLI AUSTRALIANI
Gente strana, dicevo. La mia idea è che gli Australiani – melting pot a parte – somiglino molto agli inglesi. L’idea degli australiani è invece quella di assomigliare agli americani. La loro intima convinzione è di essere incredibilmente migliori di entrambi. L’Australia poi, seppur grande, resta sempre un’isola. E i suoi abitanti sono quindi isolani. E come tutti gli isolani sono strambi, orgogliosi, complicati. E cocciuti. Non a caso i due simboli raffigurato sullo stemma australiano sono il canguro e l’emu: due animali incapaci di muoversi all’indietro. Gli australiani vivono e soffrono anche una eterna rivalità coi neozelandesi. Tra l’altro, nel 2006, un australiano ha pure provato a venderla, la Nuova Zelanda, su eBay. Sorprendentemente non se n’è fatto niente. I connazionali di Megan Gale sono anche incredibilmente campanilistici e gli abitanti di ognuno dei sette territori in cui quella nazione è divisa non vedrà l’ora di ridicolizzare vizi, tradizioni e slang degli abitanti degli altri stati. Ma questo, in realtà, non è niente di unico. Unico è invece il fatto che Bob Hawke, il primo ministro australiano in carica negli anni ’80, sia noto per esser stato il detentore del record mondiale di velocità nel bere una yard of ale: un litro e mezzo di birra in undici secondi. Gli australiani veri, in realtà, sono però gli aborigeni. Quello degli aborigeni è una questione immensa, grande come Uluru, e parlandone si sta in un instabile equilibrio tra il buonismo e il razzismo. Un equilibrio in cui non m’avventuro. Un popolo che 50.000 anni fa – non si sa come ne perché – è partito da non si sa bene dove (qualche parte tra l’Indocina e il pacifico) per arrivare in una terra che ostile è dir poco, ed è riuscito a sopravviverci per tutto quel tempo, merita decisamente un’approfondimento.
SQUALI, SERPENTI, COCCODRILLI
Tra le altre cose, gli aborigeni sono riusciti a sopravvivere anche a qualche decina di animale assurdamente mortale. Squali e coccodrilli, al di la della cattiva fama, non uccidono poi così tante persone. Se sarete fortunati, non succederà. Se vorrete vederli, ma magari non mentre state allegramente facendo surf sulla vostra tavola, potete scegliere di pagare qualche centinaio di dollari e farvi calare nella famosa gabbia a guardare gli affamati squali bianchi al di là da essa innervosirsi perché non riescono a mangiarvi. Oppure potete pagare molto meno e salire su una barca che fa avanti e indietro per un fiume gettando pezzi di carne ad altrettanto affamati coccodrilli, probabilmente ignari di diventare il prezioso complemento di innumerevoli album fotografici. Squali e coccodrilli, bene. Mettici pure una mezza dozzina di ragni mortali e una decina di serpenti letali e il gioco è fatto. No, troppo facile. Mancano il blue ringed octopus, un apparentemente allegro e gioviale polpo di 20 centimetri, capace di uccidere in qualche minuto. Restano poi qualche manciata di specie di jellyfish, meduse. Questi esseri invisibili e senza cervello, per un buon 6-7 mesi l’anno possono essere ovunque al largo di qualsiasi costa nella metà settentrionale dell’Australia. Motivo per cui, tendenzialmente, il 50% delle coste – squali a parte – non sono propriamente consigliate per la balneazione. In realtà e in linea di massima dopo qualche mese laggiù però ci farete il callo e ai cartelli che indicano quali e quanti animali letali abitano quelle zone farete tanta attenzione quanta ne fate al box d’avviso che vi intima di non forzare la rimozione della chiavetta USB dal vostro PC. Per maggiori info sui suddetti animali vi rimando alle liste di Buzzfeed, ai documentari di NatGeoWild, e a questa canzone. Non posso però concludere questo paragrafo senza citare il cassowary. Un uccello da circa cinquanta chili, alto quasi due metri e incapace di volare, che vive nel nord-est dell’isola. Il cassowary, che fa molto Jurassic Park, compensa l’inettitudine al volo con una quella che, letteralmente, è una testa molto dura. Se disturbato potrebbe infatti usare il suo massiccio elmetto contro chi osa importunarlo. Una meraviglia d’animale. Ahimè non l’ho visto. Ed è il mio più grande rimpianto.
LA BANALE E VUOTA RETORICA DELLO ZAINO PIENO
Fortunatamente, pensando all’Australia, non ho il rimpianto di non esserci andato. Ho raccolto pomodori, uva, manghi e pere. Ho visto la foresta pluviale da una parte, la spiaggia in mezzo e la barriera corallina più grande del mondo dall’altra. Ho fatto baldoria a Byron Bay, ho fatto barbecue sulla spiaggia a Surfers Paradise, ho speso 2500 dollari per una macchina, l’ho usata per fare la costa est da Cairns a Melbourne e l’ho rivenduta a 3000 dollari. Sono stato a Fraser Island. Ho guidato sulla Great Ocean Road. Ho ascoltato Xavier Rudd nel posto giusto per ascoltarlo. Ho lavorato con un vecchio che da giovane aveva suonato con Johnny Cash nel suo tour in Australia. Ho dormito più notti in una tenda che su un letto. Ho guidato qualche migliaio di chilometri in mezzo al nulla per andare a vedere un grande sasso in mezzo al nulla, ed è stato assurdamente affascinante. Sono stato a Wolf Creek dopo aver visto questo film (una sorta di Wrong Turn, però con i canguri, molto in voga tra i backpackers), ho visto Coober Pedy che oltre ad avere ancora pezzi di set di Mad Max è la città con gli abitanti più strambi del mondo. Ho nuotato a un paio di metri da degli squali balena. Ho conosciuto un sacco di bella gente e fatto un sacco di belle cose. Non poteva andarmi meglio.
Ora invece sono qui. Piove. Ho freddo. Ho il naso tappato e m’inizia pure a far male la gola. Ho sonno. Sono seduto da troppo tempo davanti a un schermo troppo luminoso. Sono in Brianza. Sono più vecchio, più saggio e più triste. Ho smesso di leggere e guardare quei maledetti libri e quei maledetti film. Leggo gialli svedesi, tristi testi di saggistica e romanzi distopici. Guardo film noir, disilluse opere d’autore e intricate metafore sull’esistenza. Sono un luogo comune. Maledizione.