Con le mani dietro alla schiena, con una ventiquattrore stretta nella mano destra (quasi tutti i bambini mancini sono costretti dai loro genitori a cambiare la mano dominante quando sono piccoli) o con le braccia composte lungo i fianchi, tutti vestiti di scuro ma spesso con scarpe colorate che mal si addicono al sobrio abbigliamento soprastante, rigorosamente sulle strisce pedonali e mai sulla traiettoria di un’altra persona, non si sfiorano nemmeno per sbaglio, uno su tre con la mascherina che copre dal naso al mento (per non diffondere pandemie anziché schermarsi dal prossimo come potrebbe sembrare a noi), spesso resi diffidenti dalla nascita.
Intorno a loro c’è un mondo che conosciamo bene senza mai averlo visto prima: i semafori sparano note come fosse un attacco UFO, le espressioni del viso che sottolineano una circostanza triste o felice sono accompagnate da gorgheggi a me incomprensibili ma sicuramente idonei e musicalmente perfetti, reazioni e azioni temporalmente spropositate come in quei cartoni animati anni ’80 ai quali non posso fare a meno di pensare ad ogni angolo dal quale osservo, ad ogni ristorante dove mangio e davanti ad ogni vetrina che mi fermo a guardare, sperando di trovare un oggetto da comprare che incarni veramente tutto questo!
Colorate ruote panoramiche previste in ogni piano regolatore, si muovono lemmi e gloriose accanto ai grigi grattacieli perfetti, aspetto di vederci Godzilla arrampicato su qualcuna di queste piramidi di cemento ma semmai scorgo un giardino verticale… perfetto ovviamente e spesso con il primato del migliore al mondo.
È tutto assurdo ma mio. Faccio mio il senso di ordine che impregna l’aria, è mia la stazione dei treni che non fa paura ma impegna, mio il disagio nei loro occhi che dissimulano gelosamente, sono miei i giardini, i vecchi sempre curati dai figli, i castelli come fossero aironi bianchi in procinto di volare, la città infinita e il senso di appartenenza ad una comunità che non mente, ma non perdona mai. È un gioco, fatto da grande coi grandi, un viaggio che mi attraversa tanto quanto decido io di attraversare il Paese, sono partita con mille incertezze e sono tornata con un pacchetto di ricordi in super8 e tantissima grazia nel cuore.
Durante il volo di ritorno penso a come potrò raccontare tutto questo, descrivere ogni dettaglio del mio viaggio o semplicemente sorridere ringraziando la mia fortuna? Opto per il sorriso, mi convinco che il Giappone sia veramente Godzilla il mostro che non ha emozioni ma è lui un’emozione.