Capita di viaggiare per ragioni che non riguardino una vacanza e a volte nella valigia insieme ai vestiti e le scarpe, si fa spazio anche a problemi di ricambio e dei dubbi da asporto che non vogliamo lasciare a casa perché se viaggi per lavoro, ad esempio, il senso del dovere impone di non dimenticarti cosa devi tentare di risolvere quotidianamente, oppure spesso le partenze sono come l’ultima bracciata nuotando in un mare agitato: arrivi alla spiaggia stremato, senza forze e voglia di pensare.
Capita però che si atterri a New York, magari non è neanche la prima volta, hai già visto i tombini che fumano, preso una metro nell’ora di punta e chiamato un taxi al volo sentendoti una di quelle belle attrici sui tacchi (ma come fanno?).
Non è la prima volta che cammini su quell’asfalto che forma grossi rettangoli intervallati da griglie di ferro, le stesse che riportano alla luce il calore e il brusio sotterraneo prodotto dall’incalcolabile umanità sottostante. Le altezze dei grattacieli ombreggiano come alberi in un bosco fantastico e ti restituiscono la consapevolezza di essere dove da secoli tutti sognano di arrivare e ti ritrovi a recitare mentalmente un mantra che dice: sono a New York, sono a New York, sono a New York qui ed ora, percependo forte e chiaro il rischio di parlare da solo a voce alta facendoti sembrare una persona strana, ma in effetti se ciò succedesse non saresti affatto additato come diverso! Qui non esistono persone non diverse, l’equilibrio tra coerenza e assurdità è palese tanto che anche la ghettizzazione del povero in quanto tale, pare una sorta di avanguardia del razzismo.
Cammini per le strade che comunque già conosci, se non da un precedente viaggio sicuramente da che esistono film e fumetti e canzoni e quadri e se hai un avo con esperienza di emigrazione: da tutti i natali che hai trascorso a dieci ore di volo lontano da qui ed hai ascoltato la storia della ricerca della felicità oltremare, argomento purtroppo contemporaneo.
A New York c’è sempre qualcosa di geniale dietro l’angolo, un luogo che non hai mai visto prima, il più delle volte è un’idea dalla semplicità disarmante che ti fa parlare di nuovo a voce alta da sola e ti fa chiedere perché questa città riesca a restituire dignità al cittadino attraverso il recupero di spazi industriali come nel caso della High Line (dove si possono ammirare opere d’arte, camminare, leggere, ascoltare, guardare ed anche sognare, tutto completamente gratis) mentre il resto della vita scorre frenetica nelle strade sottostanti, ma non permette di comprare un antibiotico senza spendere una fortuna in assicurazioni, qui puoi assaggiare tutti i sapori del mondo compreso quello latino ma per molti la soluzione è costruire un muro di separazione da esso, si può pagare tutto con la carta di credito, anche un semplice caffè ma un francobollo no, ci sono milioni di locali alla moda in bellavista sulla strada, ma il più alla moda di tutti è quello che non si vede e per trovarlo devi giocare alla caccia al tesoro con i passanti chiedendo se hanno mai sentito parlare di uno “speak easy” nei paraggi, dettagli che rendono città una calamita anche per chi è contrario a tutto questo.
Con i milioni di input con i quali la città ti lega a sé, capita che i problemi restino in valigia in attesa di esser stirati e nuovamente indossati una volta tornati a casa, New York te lo dice proprio che adesso c’è tempo solo per camminare, ignorare la stanchezza ed ascoltare l’inconfondibile frastuono che ti riempie la testa anche quando sei nella tua camera di hotel per rifiatare e programmare la successiva immersione nel totale caos, la condizione ideale che diventa la soluzione, verosimilmente quella Soluzione della quale avevi davvero bisogno.